Considerazioni brevi sulla lunga teoria della pittura di John Divano
di Luca M. Venturi
La fine della stagione delle avanguardie consente di porre un minimo di attenzione sulla pittura d’immagine, ovvero quell’arte figurativa che, proprio perché costruita sul dato reale e sulla rappresentazione, è stata ritenuta spesso, e a torto, esaurita in ogni suo aspetto e comunque non più in linea con i tempi, il gusto, il livello medio di cultura.
Così, anche chi può contare su sicure doti pittoriche e tanta competenza si è visto del tutto ignorato, o peggio relegato in un presunto ghetto degli imitatori del passato.
Intanto, non è per niente vero che l’immagine comporti fatalmente un rinvio ai modelli di secoli trascorsi. Si può dipingere superando ogni filiazione anche su temi consacrati, come si può cadere nella ripresa di un modulo convenzionale facendo pittura astratta.
Questa lunga quanto utile premessa giova al caso di John Divano che dà vita ad una pittura che si affida alla coerenza di una ricerca figurale, ma non da sola, portata avanti con sorpresa e talento. Niente messaggi muti, nessuna lettura cieca dell’uomo e delle sue angosce, niente che ci obblighi al sociale e alle sue problematiche noiose. La pittura di John Divano ha una sola ispirazione: la realtà fenomenica cui è legata da una sorta d’abitudine estetica, di confidenza alla lettura, che gli permette – pur nella fedeltà – di restituirla come frutto d’invenzione, di fantasia, d’oggetto creato dall’impaginato, dal taglio, dalla luce.
Costruttore d’immagini, con i suoi trionfi di icone, la mucca in precario equilibrio alla Chagall al culmine del quadro, la gonna drappeggiata alla Beardsley, gli edifici cubisti di sfondo, una donna sospesa ma seduta, il pavimento a scacchi; ma anche i vasi di cactus, di girasoli o la prolifera serie dei quadrati alla Malevich. Citazioni volute o memorie senza su fondali d’intensa suggestione, esaltate e reinventate dalla luce.
Sembrerebbe che John Divano non provi eccessive tensioni emotive tra l’intuizione degli oggetti e la loro rappresentazione: nel senso che non è l’intima natura delle cose che lo interessa – e di cui tuttavia avverte il richiamo e la tentazione – ma il modo di riprodurle, che significa poi restituire alle cose stesse la purezza formale di un archetipo. Intendo dire che, alla fine, le nature morte e gli interni inquietanti non sono più quelli reali, anzi quelli della Storia dell’arte, ma quali il pittore avrebbe voluto fossero.
Di qui l’originalità di John Divano, i suoi colori fluidi, il nitore del segno, i tagli imprevedibili. E di qui anche quella sorta di quiete, di silenzio lirico, direi, che accompagna le sue tele. Brevi brani di paesaggi attraversati dalla luce, interni quasi smaterializzati, aperti a coloriture e presenze insolite; e ancora forme dell’astrazione che s’insinuano in un sapiente gioco d’ombre. Se John Divano ha qualche merito, è tutto suo. E quello di trasfigurare in oggetti rapiti dalla realtà in una visione disincantata, non mi pare da poco.
Pittore artisticamente attento e acuto osservatore di forme e spazi, sviluppa una padronanza del colore e della sua espressione sulla tela, tali da consentirgli di comunicare i segni distintivi della sua ispirazione al di là del significato recondito che possono esprimere i soggetti.
I dipinti trasmettono così nella realtà dell’insieme e nell’impatto visivo una comunicazione immediata, senza ostacoli, una simbiosi di forme ben amalgamate nella scelta anche degli accostamenti cromatici, tecnicamente resi tale da un paziente lavoro di base fatto sulla tela.
Divano parte dall’idea che la conoscenza sia in continuo cambiamento, che non sia mai assoluta, ci sembra di averla raggiunta, ma non è possibile raggiungerla completamente, ci avviciniamo, ma non la possediamo mai del tutto. La sua pittura ci conduce a ritenere che scaturisca da un modo di pensare innato, che punta a un futuro remoto oltre la realtà prossima, e che propone idee mediante l’arte.
Short remarks on the long painting theory of John Divano
by Luca M. Venturi
The end of the avant-garde season allows us to shift our attention to the representative painting, the figurative art that, exactly because built on real data and representation, has been often, wrongly, considered totally worn out and no longer consistent with time, taste, the average culture.
Thus, even those who can count on good painting skills and a lot of competence have been totally ignored, or worse, relegated to a supposed ghetto of imitators of the past.
Moreover, it is totally untrue that image necessarily entails an inevitable reference to past centuries models. It’s still possible to paint surpassing any derivation also on consecrated themes, the same way it’s possible to fall in the reclaim of conventional paradigm creating abstract paintings.
This long, yet useful premise benefits John Divano’s case, that gives life to painting which relies on the search of figural consistency, but not just that, carried out with surprise and talent. No silent messages, no blind reading of humanity and their anxieties, nothing that commits to social obligations and its boring issues. John Divano’s painting has one only inspiration: the phenomenal reality to which it’s linked by some kind of aesthetic habit, of reading confidence, that allows – while remaining faithful to reality – to return it as a result of invention, a fantasy, of an object created by layout, by cut, by light.
Creator of images, with his triumphs of icons, the cow in precarious balance a la Chagall at the top of the scene, the draped skirt a la Beardsley, the cubist buildings in the background, the suspended, while seated, woman, the checkered floor; and the cactus pots, the sunflowers and the many series of squares a la Malevich. Quotes done on purpose or memories of the intense suggestive backdrops, exalted and reinvented by light.
It seems that John Divano does not have extreme emotional tensions between objects intuition and their representation: meaning that it’s not the intimate nature of the things that interests him – although he feels their enticement and temptation – but the way to portray them, which means giving the things themselves back the formal purity of an archetype. I mean that, after all, still lives and disquieting interiors are no longer the real ones, rather those of History of Art, but the way the painter would have wanted them to be.
Hence the originality of John Divano, his fluid colors, the clarity of the sign, the unpredictable cuts. And also that kind of quiet, of lyrical silence I would say, that accompanies his paintings. Short passages of landscapes crossed by light, semi-dematerialized interiors, open to coloring and unusual presences; and forms of abstraction that creep in a clever game of shadows. If John Divano has any merit, it’s all his own merit. It’s the art to transfiguring objects abducted from reality into a disillusioned view. This does not seem little to me.
Artistically attentive painter and keen observer of forms and spaces, Divano develops a mastery of color and of its expression on canvas, that allow him to communicate the hallmarks of his inspiration beyond the hidden meaning expressed by his subjects.
John Divano’s paintings, in the reality of the whole and in the visual impact, communicate in an immediate way, without barriers, a symbiosis of well mixed forms also in the choice of the combination of colors, technically made through a patient work done on canvas.
Divano starts from the idea that knowledge is constantly changing, that it is never absolute; we think we can reach it, but can not be reached completely, we get close to it, but do not control it truly. His painting brings us to believe that reality comes out from an innate way of thinking, pointing to a distant future beyond the close reality and that proposes ideas through art.